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Nell’ambito delle iniziative per ricordare il 78.o anniversario della Liberazione, promosse dal Comune di Imola insieme all’ANPI e al CIDRA, questa mattina, all’angolo piazza Matteotti - via Emilia si è svolta la cerimonia commemorativa con la deposizione di un mazzo di fiori alla lapide di Maria Zanotti e Livia Venturini, a ricordo loro e dell’impegno delle donne nella Resistenza e nella Liberazione.

Nel corso della cerimonia, all’interno del progetto “Quando un posto diventa un luogo”, gli studenti della Scuola secondaria di Primo Grado “L. Orsini” IC 7 hanno allestito la performance “A rose”, a cura di Annalisa Cattani e della prof.ssa Paola Vacchi.

Alla cerimonia sono intervenute Elisa Spada, assessora del Comune di Imola, Virna Gioiellieri coordinatrice della Commissione Pari Opportunità del Comune e Giulia Barelli, componente del Comitato direttivo dell’Anpi di Imola, alla presenza, fra gli altri, del partigiano Vittorio Gardi, del presidente Anpi Imola, Gabrio Salieri e del vice sindaco Fabrizio Castellari.

Successivamente, alle ore 11.30, nel Piazzale Marabini - Stazione Ferroviaria l’assessora Spada ha deposto un mazzo di fiori alla lapide posta nell’aiuola davanti alla stazione ferroviaria, dedicata alle donne della Resistenza.

Interventi integrali

Intervento di Elisa Spada, assessora Pari Opportunità del Comune

COLTIVARE MEMORIA
Delle donne della Resistenza e del loro importante ruolo nel processo di Liberazione Nazionale. Storie di incredibile coraggio.
Non c’era soltanto la resistenza armata, c’era una resistenza civile che è stata altrettanto importante e che è stata portata avanti soprattutto dalle donne.
Una resistenza fatta di azioni di cura, dal cibo, ai vestiti, al riparo, alla medicazione, al nascondere e dare riparo, tessere relazioni.
Una resistenza fatta sul campo, stampando volantini, facendo le staffette, lottando e pagando sul loro corpo la violenza del Fascismo.
Una resistenza fatta anche nelle Piazze, chiedendo la liberazione dei propri figli e dei propri mariti, chiedendo pane e sostentamento per far mangiare i propri figli.
Come è successo qui, in questa piazza, il 29 settembre del 1944, dove Livia Venturini e Maria Zanotti sono state brutalmente uccise dalle GNR che aprirono il fuoco sparando sulla folla.
Donne che si sono impegnate per tenere insieme la lotta per la liberazione con il mettere le basi per il lavoro che sarebbe spettato loro dopo, per la costruzione di una società migliore, sulla strada della giustizia sociale.
Attraverso la Resistenza le donne hanno conquistato il diritto di contribuire a questa costruzione, fare parte dell’Assemblea Costituente, e gettare le basi di quel percorso che ha portato il diritto di voto alle donne, la possibilità di avere un ruolo politico, di consentire a me oggi di essere qui.
Abbiamo la responsabilità di raccogliere la steffetta dei e delle testimoni dirette di quel periodo, per questo è importante far conoscere cosa è stata la Resistenza, su quali valori si fonda l’Antifascismo e su quali valori è stata fondata la nostra bellissima Costituzione.

Intervento di Virna Gioiellieri, coordinatrice Commissione Pari Opportunità

Maria Dal Pozzo, Valeda Tozzola, Antonia Pirazzini, Prima Vespignani sono solo alcune delle donne che hanno partecipato attivamente alla Resistenza. Hanno un nome, compreso nel generico toponimo di questo luogo della città. Ci piacerebbe vedere questi nomi e cognomi nei luoghi della città per non farli sparire in generiche definizioni o categorie, che non siamo.
Moltissime altre sono state protagoniste di una resistenza civile.
Dopo l’8 settembre 1943 migliaia di donne investirono le abilità tipiche del lavoro domestico e di cura nella causa comune della liberazione dal nazifascismo. Lo fecero spontaneamente e attraverso la costituzione dei Gruppi di Difesa della Donna (nome deciso dai maschi e non proprio digerito dalle fondatrici dell’organizzazione) la rete territoriale capillare che oltre ad organizzare gli aiuti materiali ai gruppi combattenti e la solidarietà alle famiglie più in difficoltà aveva già ben chiari gli obiettivi di emancipazione da perseguire a guerra finita. Erano donne di tutti gli orientamenti ideologici.
Le staffette e chi era impegnata nella resistenza civile rischiava la vita non meno di chi combatteva in montagna. Molte di loro si sono rifiutate di usare e trasportare armi dichiarandosi pacifiste come Lidia Menapace.
Il lavoro di cura portato nello spazio pubblico è stato il fattore di tenuta del tessuto sociale su cui rifondare la base civile della nuova Italia repubblicana.
Finita la guerra la maggioranza è “stata ritirata” (l’espressione non è casuale) fra le mura domestiche, il posto adatto a loro secondo gli uomini di tutti gli orientamenti politici e ideologici, paladini del patriarcato quanto della morale dell’epoca, quella del pudore e della reputazione, fondamenti della restrizione di diritti e libertà per le donne.
Sono spariti dietro le porte delle case i vissuti indicibili, i segreti di una guerra disastrosa e feroce. Quante donne antifasciste e partigiane o solo perché donne sono state stuprate portandosi quel dolore per decenni in solitudine? Oggi sappiamo, grazie al lavoro delle storiche che dagli anni ’80 hanno iniziato a esplorare il ricco scrigno della resistenza femminile raccogliendo interviste, testimonianze, recuperando diari, scrivendo saggi storiografici che di fatto gettano una luce diversa sulla narrazione ufficiale, finora fondata sull’esaltazione del maschio combattente rappresentando il ruolo della staffetta come ancillare e solo di recente rivalutato.
Rivedere questa narrazione non è solo un’azione di riequilibrio di genere o di riconoscimento del contributo delle donne alla democrazia, ma è un’operazione di verità storica che restituisce alla memoria il suo profondo significato. E’ un passato che ci parla ancora attraverso il gender gap il disconoscimento della fondamentale funzione e del valore del lavoro di cura e la sottovalutazione della risorsa che le donne rappresentano per il futuro dell’umanità e del pianeta. Questo il senso della nostra presenza qui onorate di rendere omaggio a tutte le donne che hanno resistito e ci hanno regalato il voto e il futuro da cui siamo ripartite.
Le donne resistono ancora. Viene naturale rivolgere un pensiero di solidarietà alle amiche e sorelle afghane, curde, iraniane, irachene e a tutte coloro che in molti Paesi del mondo oggi, come allora, rischiano la vita per la libertà e i diritti.

Intervento di Giulia Barelli, componente direttivo Anpi Imola

L’anniversario dell’uccisione in piazza di Maria Zanotti, detta Rosa, e di Livia Venturini per mano fascista costituisce una data molto importante per Imola, per celebrare il contributo delle donne alla Resistenza. All’impegno nella lotta partigiana si aggiunge quello della rivendicazione del ruolo femminile nella democrazia che si voleva costruire.
L’episodio che si verificò nel 1944 vide protagoniste le donne, in una manifestazione di piazza per chiedere viveri e, di fatto, la fine del conflitto. Le donne in Italia, già da prima dell’8 settembre del 1943 per via della guerra totale, ricoprivano i ruoli degli uomini che si trovavano in guerra o in montagna. Mandavano avanti le famiglie o erano in fabbrica. Di fatto erano uscite dalla dimensione privata delle mura domestiche cui il fascismo le voleva relegate, quali angeli del focolare, in un tempo in cui anche solo alcuni atteggiamenti quali essere “impertinenti”, “insolenti”, “loquaci”, “impulsive”, “rosse in viso”, poteva giustificare l’internamento in un ospedale psichiatrico. In massa, invece, occupavano nuove dimensioni della vita pubblica. Nei luoghi di lavoro, innanzitutto, e nelle piazze, come accadde quel giorno, quando i repubblichini sparando sulla folla uccisero Zanotti e ferirono gravemente Venturini, che morì poco dopo.
La scelta di aderire alla Resistenza, che molte fecero, non era altro che la traduzione politica nella vita pubblica del loro sentire antifascista. Non si poteva sconfiggere il fascismo e immaginare la democrazia senza una partecipazione politica alla vita pubblica delle donne. E questo non è stato scontato, nemmeno tra le fila partigiane. Lo sappiamo meglio oggi grazie al lavoro delle storiche, come Anna Bravo: «Se un uomo faceva il cuoco per una formazione veniva censito come partigiano, se lo faceva una donna era “una che aiutava”, e così per un infermiere e un’infermiera, per non parlare delle tante che curavano i partigiani feriti a casa propria o procuravano cibo o farmaci, o portavano informalmente messaggi».
È simbolico il carteggio raccontato da Giovanni De Luna tra una partigiana, nome di battaglia Anna, e il suo comandante Barbato, in cui lei lamenta subire un’ingiusta punizione attraverso l’imposizione di un distaccamento dalla brigata per via di una relazione con un partigiano sposato. Una misura per lei incoerente con gli ideali di libertà per cui aveva deciso di unirsi alla Resistenza, ma che doveva fare i conti con la morale patriarcale che pure tra i partigiani era diffusa. Tanto che lo avvisa che se queste saranno le premesse della futura società per cui stanno lottando, per lei ci sarà il rischio di un «fascismo in camicia rossa». Barbato – e qui si capisce quanto le donne abbiano combattuto una doppia Resistenza, quella contro il fascismo e quella per l’emancipazione del proprio ruolo nella futura libertà dal patriarcato – le risponde infatti che non era quello il tempo di risolvere tali faccende, che definisce lussi personali, che c’era altro a cui pensare in quel momento.
È questa l’importanza fondamentale dell’apporto delle donne alla Resistenza. Aver rivendicato un ruolo, poche volte riconosciuto anche dai propri compagni di battaglia, consapevoli che senza un riconoscimento paritario tra i generi la costruzione della democrazia non sarebbe stata realmente tale.
La celebrazione degli anniversari ci pone sempre degli interrogativi sul rapporto che abbiamo col passato. Per l’Anpi, che vive di Memoria, è un interrogativo quotidiano. Spesso si dice che si deve guardare al passato per trarre un insegnamento per il futuro ma la formula ormai è retorica, ci pone come spettatori di eventi passati in cerca di risposte confezionate. La filosofa Federica Montevecchi, nel suo ultimo libro Frammenti di futuro, scrive nella prefazione che il passato ricomprende anche risorse ancora inespresse. Comprende cioè un non-passato che può ancora esprimersi.
È a quelle rivendicazioni delle donne che ancora non sono state conquistate, e per cui ancora tante oggi nel mondo lottano, come le resistenti afgane, iraniane, curde, irachene e siriane, che dobbiamo guardare per celebrare questo anniversario.

W le partigiane, W l’Anpi e W la Resistenza!

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Ultimo aggiornamento: 20-09-2023, 09:03